Erano passati soltanto pochi mesi dall’uscita del primo lavoro de “Gli abitanti del pollaio” e inspiegabilmente questo evento, a dispetto di ogni possibile previsione od aspettativa, aveva scatenato nel mio animo una serie di reazioni a catena che mi avevano un po’ costretto a rivedere il mio rapporto con la musica, la mia idea del rapporto tra musica e pubblico, e tutte queste cose qui.
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Avevo promesso di scrivere questo articolo diverso tempo fa. Poi per vari motivi la bozza è rimasta confinata nel dimenticatoio fino ad ora. Pazienza, meglio tardi che mai…
I primi anni in cui suonavo in giro avevo un’altissima opinione delle mie capacità musicali.
Non dico che pensassi di essere il nuovo Van Halen o il nuovo Jimi Hendrix, però poco ci mancava.
Diciamo che, così come la maggior parte degli italiani uomini sono i migliori commissari tecnici di calcio il lunedì mattina al bar, io ero il miglior chitarrista del pianeta al tavolino sotto al palco (palco dove qualcun altro stava suonando).
La domanda sorge spontanea. Perché questo losco individuo (che sarei io) deve occupare prezioso spazio web riportando vicende avvenute quando era giovane e stupido mentre nel resto del mondo accadono continuamente fatti di indubbio interesse?